La potatura della vite è un’operazione necessaria ogni anno. Viene effettuata in inverno e rappresenta l’inizio di una nuova stagione, si tratta infatti di sfoltire il fogliame prodotto dalle viti nella stagione precedente e di selezionare solo pochi tralci, che saranno quelli messi a produzione nella stagione che viene. Non a caso in piemontese questa operazione si chiama “serne i vijs”, cioè “scegliere le viti”. Le regole della potatura sono molto semplici, anzi praticamente si possono riassumere in una sola frase: “tagliare tutto e lasciare sempre il tralcio giovane miglipre più vicino al tronco”. Parlo del nostro vitigno, l’erbaluce di Caluso, che viene coltivato, in maniera non affatto comune, a pergola. Di regola si dovrebbero lasciare due tralci, da tirare uno a destra ed uno a sinistra (operazione questa successiva che si chiama appunto “tiratura”). Questo perchè da ogni tralcio ne nasceranno altri, sia a desta che a sinistra, mentre quello principale correrà in avanti sul filo, perpendicolarmente alla fila delle viti.
Nella pratica, a volte se ne lasciano tre o anche quattro, e può perfino succedere che le viti prendano forme strane, ad esempio per andare a coprire lo spazio destinato ad un’altra pianta che è morta (la chiamo la “vite supplente”). Ci sono poi tecniche avanzate come quella del “rincalzo” (vedremo… ) di cui ho capito l’effettiva utilità solo dopo diversi anni, quando ho avuto a che fare con situazioni difficili.
Lavorare la terra è un’esperienza importante, che è complementare allo studio, all’educazione ed a attività più “culturali”. Intanto ti permette di sentirti parte di un mondo, quello naturale, che è quello da cui proveniamo anche se a volte ce ne stiamo tanto lontani da scordarcene. Ti fa sentir parte del ciclo delle stagioni, della vita che scorre, dormendo in inverno per poi esplodere in primavera e portare i suoi frutti d’estate, ti fa comprendere che di immediato c’è solo la distruzione, mentre creare (ad esempio dare la forma che vogliamo ad una pianta, o coglierne i frutti) richiede mesi o anni di impegno costante per ottenere risultati.
Se mentre fai pensi, poi, ti rendi conto di come tante situazioni si possano ricondurre alla vita di tutti i giorni; la vite da questo punto di vista è ideale perchè richiede di ripetere pochi e semplici gesti moltiplicati per un numero enorme di piante. Ma è tutt’altro che un lavoro meccanico.
Infatti, la prima cosa che la vigna ti insegna è che anche operazioni semplici, applicate ripetutamente a distanza di anni (in cui possono accadere ogni genere di imprevisti), generano situazioni sempre nuove, che metteranno a dura prova le semplici regole che ti eri dato (e che hai cercato sempre di seguire). Poi, un’eccezione fatta una volta può generare una catena infinita di eccezioni gli anni futuri.
In generale, potare, come direbbero gli inglesi, is all about taking decisions. E io aggiungerei: quickly. Infatti spesso capita che i tralci buoni siano più di due: cinque, sei, sette. Ognuno ha le sue buone ragioni per pretendere di essere lì anche l’anno prossimo: è giovane, è forte, è ben orientato, viene dal basso, è l’unico sul suo ramo, e così via. A volte perfino te lo immagini, come crescerà. Ma come andrà a finire non lo sai. Non sai nemmeno se al momento di tirarlo sarà ancora lì, oppure il vento l’avrà spezzato, o il gelo bruciato e reso secco come uno stecco. Puoi perderci delle ore a guardarli, e ancora essere indeciso su cosa tagliare, e alla fine magari lasciarli lì tutti e sette, sbagliando, perchè la pianta disperderà le sue energie e alla fine non farà frutti, e per giunta ne uscirà più debole.
Aiuta il fatto che si pota a gennaio: fa freddo, la vigna è lunga, non puoi permetterti di perderci una vita: tagli. Decidi. Al meglio delle tue informazioni, e poi rischiando, anche tirando a caso se proprio non c’è di meglio. Potare la vite è un esercizio di decision making, un’operazione che i manager compiono (o dovrebbero compiere) abitualmente. Che tutti compiamo abitualmente, sia che facciamo la spesa o che abbiamo due che ci fanno il filo e dobbiamo sceglierne una. E a volte non è tanto importante quale scelta facciamo ma piuttosto fare una scelta. Poi abbiamo mille modi di farla andare bene o male, ma non scegliendo, non buttandoci, non possiamo che fare disastri.
Il motivo per cui si sceglie il tralcio giovane da tirare, è che quello vecchio tende a diventar legnoso. Come le persone, anche i tralci ad una certa età scelgono la stabilità e la staticità, per loro non è un male, semplicemente massimizzano il benessere raggiunto diventando un pezzo di legno dal quale nasceranno altri tralci, facendo crescere la pianta. Però per il viticultore è male perchè di sicuro il legno non fa frutti, e più la pianta cresce meno energia andrà ai frutti visto che la linfa dovrà compiere più strada per arrivarci e che ce ne saranno di più e quindi meno risorse per ognuno (semplifico un po’, sono piuttosto un agrofilosofo sognatore, non un agronomo). Una catena di comando corta è preferibile se si vuole avere successo: most effective.
Piante malate, patite o troppo vecchie possono avere tralci legnosi alle cui estremità si trovano picci tralci verdi. In questo caso, se si favorisce il tralcio legnoso per sfruttarne il piccolo tralcio verde al fondo, non si fa altro che rendere improduttiva la vite: il piccolo tralcio difficilmente produrrà frutti, e la parte legnosa aumenterà. In questo caso si può usare il meccanismo del rincalzo: il rincalzo non è altro che un tralcio troncato sopra la terza gemma che sta sopra quello che vogliamo mettere a produzione: così tagliato non produrrà frutti l’anno che viene, ma si rafforzerà, e sarà quindi pronto per essere il candidato per l’anno successivo. È in pratica una scommessa sul futuro. Inutile notare le similitudini con l’affiancamento sul lavoro di un junior ad un senior. Magari poi non sempre il senior legnoso viene segato l’anno dopo… Ma questo perchè nelle aziende non sempre c’è un viticultore spietato a potare.
Anche la malattia, che secca le punte dei tralci, può far sì (fino ad un certo punto)che la pianta si rafforzi: se la roba i eccesso secca, la pianta ripartirà da tralci più vicini al tronco, più vigorosi. Così come nelle popolazioni umane, la malattia è un semplice meccanismo per regolare la popolazione e risolvere il naturale indebolimento che consegue alla sovrappopolazione.
Quante cose ci insegnano le piante!