Benvenuti da Filippo

Pendolari

Il regionale “veloce” Milano-Torino è un treno per i pendolari, quindi si ritrova qui la stessa atmosfera del vecchio Aosta-Torino (ormai, ahimè, mi sa che non esiste nemmeno più); l’unica differenza è la provenienza della gente.
Fino a Novara il treno è vuoto, tranquillo vagone-letto per extracomunitari con e senza biglietto che sonnecchiano con i piedi sul sedile di fronte. Con grande educazione, di solito si tolgono le scarpe, e magari anche le calze. C’è chi dorme avvolta in sgargianti mantelli africani, chi ha l’aria losca, qualche sparuto studente, e persino, ogni tanto, qualcuno che dà l’impressione di andare a lavorare.
Da Novara comincia a salire un po’ di gente, ma è alle stazioni di Vercelli e Santhià che il treno si riempie veramente. A Chivasso insieme a me scendono in pochi, mentre una discreta folla si accalca minacciosa, pronta a scattare non appena i viaggiatori in discesa sembrino finiti. E’ una muraglia umana che non è sempre semplice bucare.
A Santhià una coppia di signore tra i quaranta-cinquanta, dopo aver chirurgicamente scrutato gli altri posti liberi nel vagone, pianta la loro bandierina di fianco a me, riservando con una borsetta bianca l’altro sedile disponibile.
“E’ libero?” – chiede un ragazzo. “No, è occupato” – quasi che ci fossero i posti numerati. Infine arriva la loro amica, ed il posto si libera.
Gli argomenti di conversazione dei pendolari sono spesso di natura ferroviaria. Il treno non si muove, chissà perchè? “A quest’ora dovremmo essere a Chivasso.” Oppure il ben più interessante “Ma sapete che ieri sera hanno soppresso il Novara? E ovviamente senza dire il perchè.” Terribile. “E’ una vergogna”.
La motivazione al mattino presto può essere un problema. “Se penso che devo lavorare ancora due settimane, mi viene male”. “A chi lo dici”. Hanno la faccia da impiegate pubbliche. Seguono interessantissime lagne varie su tempo, clima, cose di casa e ufficio che seguo a spizzichi e bocconi perchè sto lavorando. Il treno rallenta, all’ultimo momento faccio su la mia roba e mi alzo.
Aspettando di uscire, vedo che quella seduta davanti a me si alza, prende il maglioncino (anti aria-condizionata, ma non è un problema visto che nel vagone come nella maggior parte dei casi non funziona), lo ancora con al poggiatesta del sedile di fronte e con delicatezza si siede. Ah già, il mio era sedile ambito perchè guarda nella direzione di marcia del treno.
Sorrido, poi mi rimetto la maschera incazzusa e scendo alla mia stazione, affrontando la muraglia umana sotto di me.

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