Treno del mattino, ore 7:30 circa. Un uomo vestito con un piumino beige apre il portello divisorio della carrozza, poi lo richiude delicatamente. Fa per aprire la porta del cesso, ma niente, è bloccata.
“Cesso rotto” penso, non avendo visto nessuno entrare sin da Milano Centrale. Purtroppo la cosa mi pare abbastanza normale visto come butta di solito sui treni regionali, veloci o lenti che siano.
Invece l’uomo col piumino fa una deduzione diversa: “porta chiusa: cesso occupato”. E aspetta. Aspetta. Aspetta in quel vestibolo angusto, col treno che traballa e ruggisce, sbatacchiandoti di qua e di là, con quell’odore pungente di piscio che regolarmente emana dalla porta e colpisce le narici a zaffate.
Dopo un po’ riprova. “Porta chiusa: un bisogno che va per le lunghe”. Aspetta ancora un po’. Poi, prende e se ne va, oltre, a cercare un altro cesso.
E allora penso, che c’è di più inutile nella vita di aspettare davanti ad un cesso rotto? Noi in piedi col numerino, fiduciosi, saltellando perchè ci scappa, eppure quella porta non si aprirà mai, bloccata da un addetto alle pulizie svogliato o che aveva finito la carta igienica o il glassex (pensiero positivista). Quante volte ci capita nella nostra vita, e quel cesso allora è una donna, un’opportunità, un’idea… E come ci sentiamo quando realizziamo infine che era rotto, che quella cosa era impossibile o inutile, e ci abbiamo perso dietro tanto tempo, infine rimanendo fregati e col nostro bisogno sempre lì, a farci saltellare mentre ripartiamo alla ricerca di nuovi lidi.
Dopo poco lo vedo tornare indietro. Avrà espletato o no? Difficile dirlo. Comunque sia, la vita continua.