Poche cose come la pioggia riescono a sollevare il marciume del mondo e sbattercelo in faccia con tutta la sua frizzante tristezza. La pioggia, leggera o battente che sia, é come un filtro grigio, per gli occhi e per l’anima. È un’esperienza immersiva, che ti attacca alle spalle, ti logora, ti prende per sfinimento. Le scarpe che pian piano si inzuppano, la cerata che comincia a gocciolarti sul viso, i piedi che vanno veloci, almeno fino alla prossima pozzanghera. Non conosco città che le resista, nè Venezia, né Parigi, nè Barcellona. E certamente non lo può fare Torino.
I mezzi pubblici sono congestionati di vecchi dalla deambulazione incerta, poveri immigrati, giovani studenti trogloditi. Mentre i vetri grondano condensa, non posso chiedermi una volta di più quale idiota di un architetto abbia progettato gli spazi degli autobus: i sedili enormi, che non si capisce se siano per uno o per due, favoriranno forse anziani e culoni, ma basta una persona in piedi per bloccare il passaggio. La gente sale e scende, insieme, indistintamente da qualsiasi porta, pressando, spingendo. Una ragazza spintona perfino un omone enorme che a suo dire l’avrebbe pestata “Ma guarda sta razza di bisonte!”. Ci sono tutte le etnie, zingari, neri, cinesi, donne col velo (madri o nonne?) con bambinetti dai capelli ricci imbambolati dal solito giochino per lo smartphone. Per strada incontro – non esagero – almeno 20 venditori di ombrelli, e non solo indo-pakistani ma anche qualche italiano. Per non parlare di zingari e mendicanti vari in ginocchio agli incroci, piegati in due con i loro cartelli di cartone dove chiedono soldi in nome di Dio. Un negoziante di roba usata pulisce dei pensili – evidentemente appena acquisiti – sotto i portici in strada.
La vecchia stazione di Porta Susa è stata trasformata nella Food Court della nuova, in pratica un concentrato di rosticcerie che fa da contraltare agli enormi spazi vuoti della nuova stazione. Lo sfondo dei chioschetti è un terrapieno ricoperto di erbacce che ricopre la vecchia sede dei binari, coperto alla bell’e meglio da un telone serigrafato. Ovviamente non sono stati previsti posti a sedere, però le grafiche delle insegne sono di un design gran moderno.
I vari sottopassaggi della metropolitana non sono comunicanti con la stazione, e non mi risparmiano quindi dal nubifragio. Alla fine arrivo al sicuro, sotto la grande conchiglia grigia di Porta Susa, struttura nuova ma nata già vecchia, sciatta, sempre provvisoria. Una volta c’era la sala d’aspetto, con i suoi sedili, per tutti. Oggi il posto a sedere al calduccio è solo per i clienti delle lounge dell’Alta Velocitá. C’erano i cessi, sì schifosi, ma ogni uomo era uguale nel momento del “bisogno”. Ora se vuoi fare la pipì devi pagare, 1 euro a botta, evidentemente non tutti se ne avvalgono se no gli angoli della strada non saprebbero così di piscio. C’erano le fontanelle dell’acqua, adesso c’è solo il bar.
Questa è l’Italia, un paese dove abbiamo visto smantellarci davanti pian piano le conquiste del passato senza che fossero poste delle basi nuove per il futuro. Ci hanno fatto credere che il pubblico fosse il male assoluto mentre invece erano solo incapaci di gestirlo. Era solo una scusa per venderci tutti ai privati, e l’hanno fatto assai bene. In Italia in 20 anni le disuguaglianze sociali sono aumentate fortemente, e questo è sotto gli occhi di tutti. C’è in giro un mare di poveri, di tele-lobotomizzati, di delinquenti e disoccupati, e fighetti che se la tirano sui loro macchinoni.
E nessuno che si ribelli, ma tutti che si arrabattano.
Sul treno ormai mi sento un idiota a pagare il biglietto, il controllore non passa o quando c’è non serve nemmeno fare la ronda come i neretti qui intorno, che si alzano, corrono su e giù gridando, sbattendo le porte. Oggi, sotto la pioggia battente, chiuso in un autobus, mi sono chiesto per la prima volta seriamente se avesse senso tirare per i capelli al mondo un bimbo da consegnare ad una societá così. Con che coraggio gli spiegherò il mondo, che è ancora fatto di tante cose belle ma che possono naufragare tutte come in un sifone in un singolo giorno di pioggia.