Uno dei miei passatempi preferiti quando ritorno nella cara vecchia Ivrea è andare a spasso per i Cinque Laghi. Che sia passeggiare, correre o nuotare, con questa zona ho un legame particolare, ed essa riesce sempre a stupirmi, che sia triste, stanco o felice, per la sua bellezza perennemente acerba. Potrebbero essere meravigliosi, i Cinque Laghi, se solo la gente di qui capisse cos’ha e lo valorizzasse a dovere. Invece mi piange il cuore a vedere certe scene, come il Lago San Michele rosso di melma, ma soprattutto la spazzatura gettata lungo la strada: bottigliette d’acqua, lattine, cartacce, fazzolettini di carta usati per soffiarsi il naso o più probabilmente pulirsi i genitali, e poi gettati via in un cespuglio, o in terra, sulle foglie.
Mentre correvo però, dopo una sensazione di iniziale tristezza e vergogna, mentre mi chiedevo “Come mai la gente si comporta così? È così difficile insegnare a non sporcare?”, cominciai a riflettere più approfonditamente sul problema.
Intanto, il nostro problema con i rifiuti é sostanzialmente moderno. L’uomo ha sempre sporcato, o meglio ha sempre gettato via, ovunque si trovasse, quel che non gli serviva più. Pensiamo ai tempi dei romani, o nel medioevo: quel che non si poteva recuperare si abbandonava, lì dov’era, mica c’era il concetto di discarica. Il fatto è che le persone erano molte di meno, ed i rifiuti, in genere legno, cocci o stracci, deperivano velocemente. Niente come la plastica, che può durare immacolata per migliaia di anni.
Quindi in breve tempo l’immondizia abbandonata ai trivi e ai quadrivi, perfino le case in rovina in mezzo ai campi, sparivano e l’ambiente tornava selvaggio ed ostile com’era sempre stato.
Oggi siamo tanti, troppi, e produciamo cose complicatissime, che richiedono materiali recuperati in giro per il mondo intero e una fabbricazione che necessita di macchine che a loro volta sono altrettanto complesse da assemblare. Per la natura è un lavoro durissimo smontare la nostra spazzatura: un CD o una bottiglia di plastica, fatti con chissà che polimeri, sintetizzati da strani liquami estratti dalle profondità della terra e lavorati in mostruose raffinerie; un vecchio televisore con i suoi circuiti stampati, wafer di silicio, metalli pesanti, fosforo, piombo; lattine di alluminio o acciaio che si potrebbero recuperare, per evitare di sventrare le montagne alla continua ricerca di vene metallifere.
Forse è questa la vera colpa; perché l’istinto dell’uomo di abbandonare la spazzatura è atavico; altro che i medievali e i romani, primitivi e primati certo non si preoccupavano dell’ambiente! E non è, intendiamoci, sporcare. Se pensi di stare sporcando, non lo fai. Sporcare non piace a nessuno, è eticamente deplorevole, il giudizio é insito nella parola stessa… Pensateci: “sporcare”… Brutto! Cattivo! Non si fa. Il nido non si sporca. La tana non si sporca. Le mutande non si sporcano. Ma lasciare quel che non serve più, quella non è una colpa. Lo faccio in giro, fuori, lontano da casa mia. La tana é salva. E chi se ne fotte! I cani non cagherebbero in giro se così non fosse.
Quindi, in quanto istinto naturale, serve una notevole forza di volontá per contrastarlo. E magari combatterlo è pure eticamente scorretto, in quanto va contro la nostra natura, per appagare poi che cosa? Forse una vana sete di bellezza, di ordine, che serve a tranquillizzarci che stiamo mantenendo la natura com’era, come dovrebbe essere, anche se con i nostri bisogni continuiamo a distruggerla un po’ più in là.
A volte mi chiedo se me la prendo troppo, se sono un disadattato illuso, visto che mi sembra di essere circondato da persone che fanno quel che io non farei e cerco di non fare (come gettare una bottiglietta d’acqua per strada o una cartaccia dal finestrino dell’auto). Sarà anche la natura umana, ma non farlo è una delle poche cose che ci distingue dalle bestie.