A caccia di foto per un concorso, decido di visitare la Val Soana. Ci ritorno dopo qualche anno, un sabato di inizio settembre. La mia destinazione è Ronco, la “perla delle Alpi” come campeggua sul cartello stradale di benvenuto, insieme allo slogan: “Val Soana: una valle stupenda”. In effetti, la natura è eccezionale: i boschi selvaggi, i torrenti impetuosi, le cime rocciose che spuntano sulle foreste improvvisamente dietro ad una qualsiasi curva sulla strada che costeggia il torrente Soana. Già, le curve. Ma pure, i rettilinei! Ricordavo strade pessime, strette, soprattutto il tiro iniziale, da Pont ad Ingra. In efetti è sempre così, gli slarghi sono pochissimi e la gente va abbastanza sparata, quindi bisogna solo sperare di non incontrare qualcuno nel punto sbagliato, o sono problemi.
Ronco si trova all’interno del Parco del Gran Paradiso. È attrezzata da località di villeggiatura, con ristoranti, negozio di articoli sportivi, alimentari, casa di riposo, un bel mercato che movimenta la mattinata. La mia destinazione però è una piccola borgata montana, Servino, per cui guido qualche chilometro oltre fino a Scandosio, poi attacco a piedi la mulattiera che in circa di un’ora porta alla mia destinazione. Il sentiero fa parte del GTA, ma come capita in Piemonte, a differenza della Valle d’Aosta, è spesso mal indicato e manca completamente di palette di segnalazione.
Visito le borgate Servino e Fontana, incontrando solo un pescatore e due margari che vedendomi arrivare assicurano ad una corda i loro irruenti cani pastore. È sempre impressionante vedere borghi che solo un secolo fa erano paesi “normali” (Servino si dice facesse 150 abitanti ad inizio secolo scorso) ora ridotti a ghost town dove stanno fianco a fianco case ristrutturate (bene e meno bene), case abbandonate, case in rovina e mucchi di macerie. Si vedono case in pietra anche di tre, quattro piani, con i loro ballatoi pericolanti, dove montano rovi ed erbacce. Spicca la manutenzione impeccabile della chiesetta, d’altra parte qui a Luglio si festeggia la Madonna ed immagino che la vita ritorni come per magia tra queste mura. Ma in un sabato mattina di Settembre, gli unici rumori sono i campanacci delle mucche e l’abbaiare dei cani. Soddisfatto della mia passeggiata, scendo a Ronco per mangiare qualcosa e visitare il paese. È da poco passata l’una. Il mercato è sparito, volatilizzato, come se non ci fosse mai stato. Cammino per la strada principale del paese (la statale), i ristoranti sono completamente vuoti, due cuochi sono seduti nel dehors a chiacchierare. I negozi, chiaramente, chiusi anch’essi. La pro loco, con tanto di lavagnetta verde che ci ricorda che siamo in una “valle fantastica”, chiusa sbarrata, come se lo fosse da secoli. Una bacheca mal tenuta ha qualche manifesto sbiadito appiccicato con le puntine da disegno. Uno striscione dei coscritti mi fa tenerezza: si festeggiano due anni insieme! Certo, se i nati del tuo anno magari sono uno o due (te compreso) non è che far baldoria e ubriacarsi sia granchè interessante. Peró penso a chi compie i 18 e deve rimandare la festa all’anno successivo, per avere un po’ di “massa critica”. … Tempi grami!
Mangio un panino ad un bar, vuoto, dove intanto la ragazza al bancone sta smobilitando le piante del locale caricando tutti i vasi su un carrellino. Faccio due passi, dove sarà il centro? Punto la chiesa, è sempre un ottimo indizio. C’è in effetti un agglomerato di case intorno, dove campeggiano delle belle fotografie di un concorso naturalistico (mi ricorda che siamo nel Parco del Gran Paradiso). Per strada nemmeno un gatto.
Penso che forse mi sto perdendo qualcosa, vado a dare un’occhiata al sito internet della Val Soana: www.vallesoana.it. Sito pessimo, di impatto poco professionale e mal organizzato, ma scopro che a Ronco c’è un ecomuseo nel sito di un’antica fucina di rame, sembra una delle attrazioni principali del luogo, qundi decido di andare a vedere. Scendo fino a poco prima del paese, dove un cartello con il logo del Parco indica a sinistra l’ecomuseo, un agriturismo e l’inizio di un sentiero di mountain bike. La strada, che sembra asfaltata di fresco, attraversa un ponte in acciaio di recente costruzione, chiuso all’altra estremità da un nastro per delimitare i pascoli. In effetti poi l’asfalto si interrompe. Con un po’ di difficoltà faccio manovra e torno indietro a parcheggiare ad una vicina chiesetta, poi mi avvicino a piedi. Lo spettacolo è devastante, incredibile. È tutto abbandonato. Edifici in rovina, sventrati, pieni di rifiuti attorniano quello principale della fucina, ristrutturato dall’Assessorato alla Montagna e consegnato con gaudio generale alla Popolazione nel 2004, come attesta una placca di metallo appena leggibile. Tutto chiuso, sbarrato, forse allarmato, annegato dalle erbacce, dalle quali spuntano lampioni, cartelli informativi arrugginiti, il logo giallo del Parco con lo stambecco. Anche sulle pale della ruota idraulica cresce l’erba, ed i faretti di illuminazione sono sfondati e pieni d’acqua, buoni solo come nursery per zanzare. Dell’agriturismo non c’è traccia, non so se ricercarlo in una vecchia casa dal tetto sfondato o in una più recente piena di rumenta.
È incredibile. Non so proprio come descrivere le mie sensazioni. Sono triste, arrabbiato. Questa valle, all’interno di un Parco Nazionle, in sè splendida e dalle potenzialità turistiche per lo meno buone, è completamente abbandonata da Regione e Provincia. Non c’è promozione turistica, i soldi investiti sono stati pochi ed usati male. Torino è lontana, giù nella pianura, con ben altri problemi, ed intanto la montagna muore. Il Piemonte la dimentica, preferendo forse investire solo su pochi siti meglio raggiungibili. Non stupisce che questi paesi volessero passare alla Valle d’Aosta (che li ha rifiutati); la Val d’Aosta è una regione di montagna, a statuto speciale, che sa gestire le aree montane (fa solo quello). La Provincia di Torino è troppo vasta e variegata, e soprattutto c’è Torino che fagocita ogni risorsa. Le sue frange soffrono e non possono che assistere rassegnate ad un costante e triste spopolamento, a dispetto delle loro potenzialità.
La fucina del rame è un caso emblematico di sperpero di denaro pubblico. Almeno si togliessero le indicazioni o in un cartello si spiegasse perchè il sito è chiuso. Le difficoltà possono venir comprese. La mancanza di informazioni (o informazioni sbagliate) no. Quando un turista arriva e si trova davanti una cosa del genere, l’impressione è estremamente negativa. Il sito internet amatoriale, le indicazioni mentono: cosa devo pensare? Esasttamente quello che ho scritto: che siamo allo sbando, e l’abbandono è totale.