La conoscenza ti fotte
— Dio
Con queste quattro parole volevo sintetizzare quanto mi è rimasto impresso del Libro della Genesi, uno dei più famosi della Bibbia. Magari sono cose che uno ascolta un po’ distrattamente in tutte le salse, salvo poi ogni tanto soffermarcisi a pensare, ma mi era sempre sfuggito il perchè Dio si incazzi così tanto con Adamo ed Eva quando li sorprende a mangiare una mela. Non è perchè gli hanno disubbidito: ogni figlio lo fa, ed ogni padre lo sa bene. Gli uomini poi, hanno questo difettuccio del libero arbitrio che li rende spesso così imprevedibili… Spesso prendono decisioni illogiche, fanno cazzate, anche solo per “vedere l’effetto che fa”.
La Bibbia ci dice che Dio aveva permesso ad A & E di mangiare qualsiasi cosa trovassero nel giardino dell’Eden (animali compresi), salvo di questo albero particolare, l’albero della conoscenza. Insomma, Dio si incazza perchè l’umanità diventa consapevole, imparando a distinguere, tra l’altro, il bene dal male (es. nudo: male! Foglia di fico: meglio! Mah…)
E io pensavo: ma come, la conoscenza, il sapere, il progresso, il fiore all’occhiello della nostra Civiltà, senza queste doti non saremmo qui a mandare uomini nello spazio e a ricostruire pian piano cosa c’era prima dell’inizio del nostro universo, eppure Dio non voleva che le acquisissimo, per lui erano una cosa cattiva?
Forse è il classico caso dei genitori che non vorrebbero mai veder crescere i figli, diventare loro pari, perchè sanno che da quel momento in un certo senso li perderebbero (perdendo un potere che hanno su di loro)?
Un giorno d’autunno camminavo per Torino. Sceso dal 18 ai Giardini Reali, me ne andavo verso Porta Susa a prendere il treno. Piovigginava, e come al solito non avevo l’ombrello. C’era da attraversare tutto il centro. Chissà quante volte l’avevo fatta a piedi quella strada, ai tempi dell’Università e per un po’ anche dopo. La città mi appariva sempre uguale, anche se più decadente. Dietro alle porte del Bar Norman, in Piazza Solferino, i barboni si apprestavano a passare la notte all’adiaccio, sotto ai portici, avvolti in coperte di lana, con un cartone per materasso. Il comune aveva già montato le luci di Natale, da quasi vent’anni sempre le stesse “luci d’autore”, le gru rosse con il pacco regalo, le costellazioni blu con palle per stelle, magari la poesia in pillole in Via Garibaldi. Tutto mi sembrava così statico, un po’ di facciata, e soprattutto tanto tanto piccolo.
E mentre arrivavo in vista del grattacielo Sanpaolo, dalla punta immersa nella nebbia, e nemmeno lui sapeva stupirmi, pensavo ai Natali passati, quando ero piccolo e poi giovane e si diceva con la mamma “andiamo a Torino a vedere le vetrine di Natale”, e qualche volta perfino nella sconosciuta Milano, che sembrava così enorme – dalla Stazione Centrale a Viale Tunisia prendevamo la metro, adesso che ci vivo so che son due passi a piedi… Adesso tutti parlano di andare all’estero, in vacanza in Estremo Oriente, se non lavori a Londra o in Germania non sei nessuno, e c’è chi passa la settimana saltando da un meeting all’altro in giro per l’Europa.
E cosa abbiamo ottenuto? Solo più stress! Qualcuno diceva giustamente che non siamo la razza umana ma razzi umani (e io modestamente me lo sento tutto un petardo nel culo, mi sento un po’ come un fischione sulla mia macchinina a correre da un posto all’altro, pur nel mio piccolo, a prendere treni al volo, a camminare nervoso nella metro, sorpassare a destra per fare prima). E tutta questa fretta, questa smania del di più e del più grande, lo stesso consumismo, derivano dalla conoscenza. Se sai più cose, vuoi più cose. Desideri di più, più lontano, più fico, e ti affanni e ti perdi dietro a tanti dettagli, dimenticando l’essenza stessa delle cose. E Torino è morta, a Milano siamo i soliti 4 cazzi, l’Italia è un paese di pensionati… Shopping natalizio a Torino o Dubai, è pressapoco la stessa cosa. Cambierà la scala. Ma è una spirale che non porta a nulla.
Anche i geniacci della fisica, chi crede con la matematica di poter spiegare il mondo, dovrebbero arrendersi al fatto che quanto più ci si addentra nelle teorie, tanto più ci si perde, ci si avviluppa su se stessi, forse venendo a toccare l’essenza stessa, irrazionale e mistica, di una qualche “divinità” che potrebbe davvero permeare il cosmo. Quando vai a ritroso abbastanza nel tempo, alla ricerca della causa del Big Bang, arrivi ad un istante prima del quale la materia come noi la conosciamo non esisteva. E le regole della fisica non valgono più. Le variabili diventano infinite, le soluzioni possibili possono essere l’una ed il suo opposto, in quella che è la madre di tutte le singolarità. Quanto ancora ci si dovrà arrampicare sugli specchi per cercare di spiegare l’infinito, che magari proprio per sua natura è inspiegabile? Quanto dovremo andare lontano dalla nostra casa, per capire che ciò di cui abbiamo bisogno stava in fondo al punto di partenza?
Detto da uno a cui piace esplorare (pur senza essere un gatto) e che ha tutto sommato fiducia nella scienza e nella tecnologia, che vorrebbe poter vedere la scoperta di altre forme di vita nello spazio, può sembrare strano ma… Dobbiamo considerare anche la possibilità che là fuori non ci sia nulla salvo che noi stessi. Chi punta sull’uomo, sul prossimo, sugli affetti, sul mutuo aiuto, non sbaglierà mai. Avrà una vita piena e ricca di soddisfazioni. Chi è in continua ricerca di qualcosa per fuggire da sè stesso… Potrebbe non avere tempo sufficiente in una vita sola per trovare qualcosa che lo appaghi.
Ecco, forse in questo senso sarebbe stato consigliabile non mangiare dell’albero della conoscenza, e rimanersene felici nell’Eden a dare i nomi alle cose e a far scorpacciate di frutta.