Ieri siamo stati all’Expo a Rho. Sicuramente non la giornata ideale, perchè ha diluviato tutto il giorno, sotto un cielo che andava dal grigio al bianco latte, circostanza questa evidentemente non prevista dagli architetti, che hanno progettato un immenso viale centrale sì coperto da tendoni, ma bucati, sicchè dopo pochi minuti di pioggia il viale era un susseguirsi di pozzanghere e cascatelle.
L’accesso hai padiglioni dei vari paesi distava un minimo di una trentina di metri dai tendoni del decumano, quindi era impossibile entrare senza bagnarsi fradici, anche perchè comunque di gente ce n’era (il biglietto va bloccato per una certa giornata due giorni prima) e quindi anche le code, con tempi da cinque minuti a circa mezz’ora. Non avendo un ombrello, abbiamo quindi optato per entrare dove vedevamo che c’era poca coda, dall’Etiopia ad Haiti ma anche UK e Cina.
Comunque, pioggia a parte, la cosa per me più deludente è stato provare una certa qual sensazione di superficialità. Interessanti le architetture dei padiglioni, in alcuni casi davvero straordinarie, considerati i materiali usati, quasi tutti tutti poveri e di recupero. Moltissimo legno, ma anche piante da vivaio in sofferenza e soluzioni chiaramente dell’ultimo minuto. In ogni caso per l’estetica l’Expo vale sicuramente la visita. È il contenuto dei vari padiglioni ad essere deludente: fare la coda per poi vedere un paio di video o ascoltare spiegazioni sparate a mitraglietta dalle povere stagiste (a cinquemila metri in Colombia fa… freddo! Il frutto più importante dell’Equador é la… banana!), vedere filmati da un buco o entrare in una specie di sfera fatta di listelli di ferro (UK), passeggiare intruppati su e giù per scale con appese piccole cornici elettroniche (Azerbaijan), vedere un buco nero con quattro fili tesi che rappresenta il traforo del San Gottardo in costruzione (Svizzera), mi son sembrate delle grandi cagate. Chi si aspettava una cosa sull’etica del cibo é rimasto deluso, molti paesi facevano solamente promozione turistica, o ancora peggio avevano solo un semplice negozietto di souvenir con quattro fotografie (es. la maggior parte degli africani, che tentavano tutti di rifilarti elefanti di legno nero o altre statuette kitsch, proprio come i banchetti che mettono al mercato).
Insomma, alla fine sui vari paesi che ho visitato ho imparato ben poco che non sapessi già, non ho gustato nulla di tipico se non un panino con salciccia ed una parvenza di bagnetto verde nel ristorante dell’Argentina, stretto come una salamandra tra le persone che cercavano un riparo per la pioggia ed un tavolo o una sedia per mangiare.
Mi é caduto anche il mito della Svizzera: avevo letto infatti dei loro silos pieni di cibo che i visitatori potrevano prendere liberamente, per dimostrare che se ognuno ne prende il giusto le scorte durano fino alla fine dell’expo, se no finiscono prima e chi arriva dopo si tira le palle (insomma, proprio come le risorse della terra). Idea brillante ed interessantissima, peccato però che l’implementazione fosse un tantino diversa: accedere alle torri è assolutamente gratis, ma devi ottenere un biglietto con un orario di visita. Arriviamo alle due, sorridenti gli svizzeri ci informano che prendi adesso il biglietto, la visita è alle sei. Ma vaff… Visita al padiglione svizzero conclusa.
Probabilmente era l’unico modo per far durare le scorte di emmenthal e patate almeno un paio di mesi!
E guardando i padiglioni impressionanti ma sostanzialmente inutili dei vari paesi, mi sono chiesto se con tutto quello che è costato non sarebbe stato meglio fare una bella super sagra mondiale dove se magnava e basta, e tutti avrebbero potuto assaggiare un po’ di tutto, panche di legno e tovaglie di carta invece di onde di legno, vetro e acciaio… Mah!
Ah, le due parole del titolo… Ci sono venute spontanee a metà mattinata. Per la cronaca erano “…Che puttanata!”