Benvenuti da Filippo

Cucina e felicità

10480325-dutch-broodje-kroketOggi mentre mangiavo un kebab schifoso a Torino ad uno dei tanti kebabbari spuntati come funghi negli ultimi dieci anni, riflettevo. Il locale era frequentato, anche se pochi minuti dopo il mio arrivo, mentre aspettavo il panino, pian piano la gente se n’era andata quasi tutta. Mediorientali, muratori o imbianchini in pausa pranzo, due tipe ed un tipo alternativi pieni di piercing e già con la sigaretta rollata in bocca ancora prima di uscire. Qualcuno che passa e porta via. Il kebab faceva davvero schifo, appena intiepidito da un veloce passaggio in forno avvolto dalla carta stagnola (che isola dal calore), le patatine scaldate al microonde erano una mappazza immangiabile nonostante la “salsa bianca” che le ricopriva. Ricordo con nostalgia gli ottimi kebab mangiati a Lione nei pressi dell’Hotel de Ville (son già passati più di 10 anni!), da allora e specialmente di recente tutte le volte che alla fine ho ceduto davanti al kebbabaro mi sono trovato a mangiare della roba simile; fredda, gommosa, buttata lì. E pensavo a tutti i clienti che c’erano, tutti a mangiarsi quella sbobba magari perchè costa poco (devo anche dire che le porzioni erano enormi, esagerate!). E magari nei loro paesi diventa un’abitudine, mangiare alla spicciolata, quel che c’è, accontentarsi. Ora, io spero che in Turchia o comunque dove il kebab è una specialità lo facciano molto meglio, ma quanti nel mondo mangiano schifezze, mangiano veloce, oppure cose preparate senza arte ne parte, non buone o monotone?
Io dopo aver finito quell’abbondante ma pessimo pasto ero un po’ triste. Pensavo che se avessi mangiato bene, me ne sarei andato contento, soddisfatto, e la giornata magari avrebbe preso un’altra piega. Quante persone nel mondo mangiano male? Non ci sono solo quelli che mangiano male perchè non ne hanno, ma anche quelli che sono ricchi ma non hanno la cultura del cibo. Americani e nord-europei in testa. Purè dappertutto, magari liofilizzato. Sbobba di qui, sbobba di là, tanto è solo food, cibo. Non sono poi tanti i paesi in cui si usa la parola cucina. Tutta l’Asia runs on food. Italian food, Chinese food, Mexican food, è solo marketing, ma spesso nei ristoranti non c’è amore, se chiedi qual è il piatto tipico ti guardano come fossi un marziano.

A me piace cucinare, e cucinare e mangiar bene non vuol dire necessariamente spendere tanto; si possono cucinare ottimi piatti con ingredienti poveri, ma bisogna metterci amore. Non buttare lì le cose. Quanta gente mangia male e poi continua a lavorare, nervosa, insoddisfatta, irridente, lamentosa. “Un piatto di fagioli risolve sempre”, diceva qualcuno. Ma sì, basterebbe una bella pasta e fagioli. Insalata di campo. Anche un buon toast. Ma ben fatti. E prendersi il tempo che ci va, una pausa che spezza la giornata, per lavorare meglio dopo. Tanto non sono la quantità di ore che fanno la produttività. E’ lo spirito con cui si affrontano.

Davvero, penso che se si facesse più attenzione, si investisse un po’ di più su quel che mangiamo, al mondo andremmo tutti un po’ più d’accordo.

 

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