Oggi ho pranzato “al volo” al Mc Donalds. La zona, la periferia più fetida di Torino, Corso Romania, all’imbocco dell’A4, davanti alla megalopoli commerciale dell’Auchan, tra metropolitana leggera ed i resti di uno stradone a 6 corsie, dominata da due brutti palazzoni che dagli anni ’70 danno il benvenuto in città a chi arriva dall’autostrada. Un brutto piazzale, dove le foglie secche d’autunno si mischiano alla spazzatura, ha come unica attrattiva una galleria commerciale mai decollata. Da qui partono a volte autobus e minibus verso i paesi dell’Est. Il Mc Donalds è una specie di pezzettino d’America capitato lì per caso. Penso alle piatte distese del midwest, dove dopo chilometri di nulla ad un incrocio all’improvviso ne vedi comparire uno, insieme ad una stazione di servizio e magari un motel. Anche questo, a suo modo, è un avamposto. L’interno è pulito ed ordinato. La clientela è un misto di poveracci, studenti, gente che va di fretta come me. Spendo poco più di sette euro per un menù; i cinesi li battono ancora (5.80 per un pasto completo), ma non fanno lo scontrino. Invece qui pago tranquillamente col bancomat, provo per la prima volta nella mia vita la salamella con cipolle Mc Donalds (specialità locale italiana) e mi concedo il lusso di una birra “puro malto” Peroni. Bah.
Mentre mangio noto davanti a me, seduti nei tavolini fuori, un gruppi di ragazzini delle medie. Avraano 12-13 anni. Prima sono due, una ragazza ed un esserino amorfo in tuta che poi guardando bene è una ragazza pure lui (unico dettaglio un minimo femminile, il piccolo orecchino). Poi arrivano altri due ragazzi, poi un’altra coppietta ancora. La ragazzina androgina mentre mangiucchia sfoglia distrattamente il cellulare. Tutti ne hanno uno, ovviamente. Mi chiedo se quando i nostri figli avranno la loro stessa età sarà ancora concepibile andare a pranzo insieme oppure lo si farà ognuno per conto proprio, chattando con gli amici che stanno anche loro per i fatti propri. Forse no, forse continuerà ad essere proprio com’è adesso, in fondo il bisogno di avere qualcuno fisicamente al proprio fianco è atavico, è una forma di sicurezza, senza ci sentiremmo soli ed abbandonati. Ma la seduzione di avere il mondo nelle nostre mani (questo è lo smartphone), il poter sapere tutto di tutti o di tutto, immediatamente, a nostro piacimento, è irresistibile. E questo accade. A pranzo, in cinque o sei, ognuno con il suo smartphone, in contemporanea connessione con chissà quanti altri, con i forum, i pettegolezzi e le news.
Mangiano un po’ come animali, vabbè che siamo in un posto che non dà le posate, ma vedere il ragazzino in piedi con nel pugno un mazzetto di patatine, da dove le sfila una ad una con la bocca, fa un po’ specie anche a me che non sono certo un esperto di galateo. Ma la cosa che mi fa più pena e schifo è vedere che si tirano addosso le patatine. Una la mangio, una la tiro al compagno di classe, che risponde. Ognuno dovrebbe provare a coltivare una patata. Dovrebbe essere obbligato a farlo. Provate, con le vostre mani, a fre i solchi, seminarle, innaffiarle e vederle crescere per mesi, e poi zapparle delicatamente, magari per tirare fuori dei pallozzi grossi come una noce oppure scoprire di averle spezzate con la zappa. Anch’io ho avuto quell’età e anch’io ne ho fatte di cazzate, ma sprecare il cibo mi è sempre sembrato peggio di una bestemmia. Forse perchè alle elementari non potevo dire “non lo voglio” a mensa, me lo facevano mangiare, e adesso i ragazzi lasciano lì la frutta perchè non hanno voglia di pelarla. Sì, anche i ragazzini davanti a me sono così: manca la voglia. E’ lo scazzo che ti fa tirare le patatine. Lo scazzo puro, non frenato – o almeno contenuto – dall’educazione e da un minimo di auto-disciplina.
Vorrei alzarmi ed andarglielo a spiegare. Ricordo il grande Dario, che in montagna andò a far raccogliere la spazzatura ad un gruppo di ragazzini che la stavano abbandonando sui prati. In montagna lo farei anch’io. Ne sono sicuro, la amo troppo. Guardo intorno la spazzatura, le siepi incolte delle aiuole, il tavolo ed i pavimenti puliti del Mc Donalds. Finisco e me ne vado. Con la consapevolezza che è anche colpa mia, e qche quindi non ho nessun diritto per lamentarmi.