Questa mattina ero a spasso con Gabriel nel centro di Milano. La destinazione prevista (da buon trekker, bisogna sempre avere uno scopo nella camminata, anche se in realtà ero uscito solo per fare addormentare il bimbo nella carrozzina) era un panzerotto, ma ad un certo punto è successo qualcosa. Complice la pubblicità del film “agnus dei” intravista su una paletta del tram, mi ritrovo a canticchiare un vecchio motivetto di chiesa. Guardo l’orologio: 11:25. È domenica, il duomo è a cinque minuti. Dai, lo faccio: vado a messa.
In centro c’è come al solito un sacco di gente. Animano la passeggiata di milanesi e turisti, tutti bardati in piumini e cappotti scuri, artisti di strada, equilibristi improvvisati, suonatori andini, neri che tentano di piazzare libri sull’Africa e braccialetti della fortuna. La giornata è grigia ma non piove, quindi non ci sono i venditori di ombrelli, nè i pakistani lancia-elicotteri luminosi – se esistono ancora, arriveranno con le luci della sera. Passo a fianco del duomo e vedo file di turisti in coda per salire sugli ascensori. “Munirsi di biglietto prima” dice un cartello. Poco più avanti, le vetrine scintillanti del “duomo shop”. Che cazzo è il duomo shop? È dove vendono magliette, souvenir, puzzle, tazze, insomma merchandise vario. Arrivo all’ingresso, e vedo lunghe file di persone in coda. I controlli sono meticolosi, per ogni varco un funzionario (di chiesa o di polizia ?) presiede all’ispezione col metal detector di ogni singolo visitatore, a cui provvede un soldato dell’esercito in mimetica. Non una futuristica, dispotica società dittatoriale, ma il presente, con le sue fobie viscerali, schizofreniche, che hanno giustificato l’erosione di ogni forma elementare di libertà.
“Per andare a messa devo fare tutta questa fila?” – chiedo al funzionario paludato, pensando che si tratti dell’ingresso per i turisti. Mi fa cenno di sì.
“Allora lascio stare, preferisco pregare lungo la strada” – rispondo scoraggiato. Mi guarda, guarda la carrozzina, e mi dice: “Lei ha il bambino piccolo, la faccio passare davanti”. Non mi aspettavo un simile favore, il tipo insiste e allora passo, davanti agli sguardi un po’ incazzosi delle persone in fila già da tempo. Mi perquisisce una donna soldato, che scova prontamente il mazzo di chiavi che tenevo nella tasca della giacca.
Entro finalmente in chiesa. Il duomo è buio e spoglio come me lo ricordavo, salvo per i rosoni gotici che luccicano in lontananza. Dentro transenne e percorsi obbligati ci guidano fino al centro, tra gente che passeggia e fa foto, mentre gli altoparlanti diffondono gli ultimi scampoli della predica. Vedo un’indicazione sulla destra per il culto, tre guardie mi fermano dicendomi “Solo per la messa” alchè allargo le braccia e dico che è proprio quello per cui sono venuto. Mi fanno passare, mi accomodo al fondo per non disturbare, anche se il bimbo per ora dorme. L’area di culto (ma dove siamo arrivati? È una chiesa, dovrebbe essere per definizione tutta “area di culto”!) sembra un serraglio, con barriere semi trasparenti che la isolano dal resto. È piena per per un quarto, forse per un terzo. Dietro di noi, file e file di banchi vuoti. Davanti, gente sparsa. Ripenso alle messe della mia infanzia, quando mia mamma mi ci mandava ed io non volevo andare. La chiesa di Borgomasino era sempre tutta piena, tant’è che i vecchi al bar, che entravano solo per la benedizione, spesso stavano in piedi ai lati. Oggi, che in chiesa ci ritorno spontaneamente, tutto mi sembra surreale. Lontano, sull’altare, tre o quattro preti vestiti in modo sgargiante celebrano la messa, dispensando incenso in gran quantità con perfetti movimenti circolari. Cori gregoriani con toni volutamente stridenti, evidentemente la nouvelle cuisine del canto, accompagnano la celebrazione in latino. Vorrei partecipare, ma le preghiere come le so io non vanno più bene. È tutto in latino, tutto cantato, dal Credo al Padre Nostro. Sembra un musical. Davanti a me, delle donne filippine; una allatta un bambino, le fa fare il ruttino, lo mette nell’ovetto e poi se ne vanno. Altri credenti asiatici, forse cinesi, dai loro banchi fanno foto della navata con lo smartphone. Guardo in alto: la volta grigia fiorisce di umidità – e non si può dire che al duomo di Milano non abbiano speso soldi per restauri, visto che è sempre imballato in impalcature.
A forza di canti distonici Gabriel si sveglia, mi guarda un po’ con gli occhietti da sonno, poi inizia a frignare, poi a piangere. Esco, tanto la messa è finita, manca solo la benedizione finale. L’ultima immagine, avviandomi verso l’uscita, è quella di una donna che immortala le amiche col telefonino mentre accendono un lumino.
Esco sulla piazza brulicante di gente, molti in interminabili file per entrare al duomo e a palazzo reale. Nel Vangelo mi pare si dica che Gesù s’era incazzato perchè nel tempio di Gerusalemme c’erano le bancarelle. Ecco, oggi è di nuovo un po’ così. Le chiese, grandi e medie, sono attrazioni turistiche, macchine per far soldi, ed alla Chiesa va bene così. È ridicolo vedere quattro preti ripetere riti davanti a quattro fedeli, nell’indifferenza generale. Al massimo sono materiale per i souvenir fotografici dei turisti.
Penso che ogni religione che si lascia fare questo sia destinata a scomparire rapidamente. Penso non solo all’inflessibilità dei musulmani, ma anche al sincero e profondo rispetto dei buddisti nell’entrare nei loro templi, al raccoglimento delle piccole e buie chiese ortodosse.
C’è uno scollamento totale tra il clero cattolico ed il suo Capo che fa bagni di folla, ostenta un look informale e fa dichiarazioni progressiste che ottengono titoli sui giornali e molti retweet.
Chissà come andrà a finire. Un giorno il prete troverá la chiesa vuota, allora non credo celebrerà la messa per sè stesso ma appenderà un cartello e andrà a farsi una pescata (o magari, a Milano, un aperitivo). Le chiese necessariamente si ridurranno, nel mio paese ce ne sono 5 e sono tutte messe male, la gran parte andrà in rovina, magari qualcuna la si darà ai romeni, qualcuna agli islamici e quelle grosse diventeranno musei, dove i soldi degli ingressi comunque non basteranno a tenere in piedi strutture mastodontiche, costruite per ostentare una fede che oggi non serve più, è diventata easy ed ha preso molte altre forme, diverse e “fluide”, che come piccoli rivoli si disperdono nella chiassosa babele della globalità del XXI secolo.