Oggi sono stato al PRA, sigla mistica che sta per “Pubblico Registro Automobilistico”. Di fatto un doppione della Motorizzazione Civile, che cos’ è e a che cosa serve il PRA? Un vecchio collezionista d’auto d’epoca mi disse che è un ente “inventato durante la seconda guerra mondiale per poter requisire motoveicoli a favore dell’esercito”. Se lo cerchi su internet non esiste, tutte le ricerche rimandano ad uffici ACI. Il master office ACI a Torino è come al solito in culo ai lupi (per me) e cioè davanti alla Fiat, in strada del Drosso, nello specifico in una stradina a senso unico lunga 200 metri che si chiama Via Piobesi. Varcate le porte a vetri di un ufficio che riporta le insegne ACI, si entra in uno dei tanti mondi burocratici avulsi dalla realtà che continuano ad esistere nel nostro paese, inesorabilmente resistenti ad ogni riforma. Entri, e sei già in coda. Per poter prendere un numero per l’ufficio di competenza della loro richiesta, tutti devono fare la stessa coda, spiegare il loro problema, banale o esistenziale che sia, all’1 barra 2 impiegati in vetrina, ed i più fortunati riceveranno un numero, mentre gli altri verranno liquidati a causa di qualche documento o fotocopia di documento mancante, e così via. Tra i supplicanti ci trovi ogni genere di specie umana: abbondano i truzzi di periferia in tuta che hanno venduto un’auto in Albania o comprato auto in Romania; c’è la signora rumena con un plico di fogli che deve fare qualcosa per conto di un’amica ma non ha capito cosa; un signore fuorilegge che tiene le macchine vecchie nel campo anzichè demolirle, “tanto ha spazio” (vietatissimo! Si dovrà avvolturare tutti i rottami); i rappresentanti delle agenzie automobilistiche, ben noti, saltano con nonchalanche tutte le code. A loro il numero lo danno subito. Arriva il mio turno, ho diritto ad un bigliettino di tipo “A” (per l’ufficio informazioni, tre sportelli di cui due operativi). Dopo un po’ vengo chiamato, con sollievo scopro che la mia pratica si può fare subito. Manca però fotocopia del libretto, marca da bollo da 16 euro e tre fogli da compilare. Anche se avessi chiesto informazioni via email avrei comunque dovuto venire qui a prendere i documenti (c’è un copia-carbone). Esco, vado a fare fotocopie e comprare la marca, torno, rifaccio la coda, l’impiegata in vetrina si fa rispiegare tutta la storia, se la tira un po’ ma alla fine mi ridà un bigliettino di tipo “A”. Accedo all’ufficio di prima, l’impiegato mi chiede altre fotocopie (che prima non mi aveva detto), per fortuna fa uno strappo alla regola e me le fa lui (notare che nell’entrata c’è anche la fotocopiatrice A GETTONE, nemmeno fossimo nel far west o in Happy Days), mi sbaglia la targa sull’atto di proprietà, lo rifà, infine tutto ok e mi scorta al misterioso piano superiore dove ci sono altri sportelli, questi quasi deserti, è una specie di gotha dove accedono in pochi. Per arrivare qui, tra restauro, certificazione storica, reimmatricolazione, collaudo, cazzi e mazzi, ci ho messo più di tre anni. E ora sono qui, a quello che è (a mia conoscenza) l’ultimo passaggio col pubblico. Mi sento quasi in soggezione, mi mancano le gambe. Stanza enorme, cinque o sei sportelli, tre impiegati. Dietro di loro, porte a vetri oscurati, ed altri uffici, mi dico i misteriosi archivi, il cervello del PRA, forse qualche dirigente.
È un mondo di passacarte, con pile di pratiche sulla scrivania come in Fantozzi, con impiegate sovrappeso che copiano dati da moduli in ciclostile al pc, garzoni di bar che passano col grembiulino nero e vassoi di caffè e cappuccini tappati col domopak. Fa freddo, le impiegate hanno i termosifoni elettrici sopra la testa ma indossano pile o gilet imbottiti. Scherzano con i rappresentanti delle agenzie, sempre le stesse facce, che per lavoro passeranno la vita da un ufficio all’altro, fino all’età pensionabile. Cicalini rumorosi scandiscono i numeri gracchiando.
Pago ben 85 euro, non si sa bene se avrò indietro il foglio dell’atto di proprietà oggi oppure no. È una complessa questione d’archivio!
La signora porta la pratica oltre la porta a vetri, quando torna mi dice che ci vorranno 10-15 minuti e mi consiglia di andare a prendermi un caffè. Invece io aspetto lì, sono già abbastanza nervoso. Dopo un po’ la signora va a controllare e mi dice che la pratica è “in presentazione”, potrebbe volerci mezz’ora come tutto il giorno. Al che me ne vado. Dovrò tornare in questo comodissimo posto, dall’altra parte di Torino. Sono passate più di due ore. Mentre sono in macchina e cerco di orizzontarmi su strade mai percorse prima (perchè la radio dava code in tangenziale), squilla il telefono, è il PRA. La mia pratica è pronta. Ringrazio cortesemente, metto giù e mi scappa un vaffanculo.
Arrivo in ufficio alle 11:30, con ancora tutto da fare. Ripenso alle impiegate (o ai dirigenti) che si ordinano il caffè d’asporto al bar, e ho la triste certezza che qualcuno ci stia prendendo per il culo ormai da troppo tempo.